SE FOSSE INDAGATO?

E’ da anni che in questo Paese personaggi come MarcoTravaglio, Michele Santoro e molti altri battono la grancassa che vorrebbe Berlusconi mafioso. Raccontano solo e unicamente una parte di verità, quella che ovviamente fa comodo, al grido di “Mangano eroe”, dimentichi di leggere il resto della frase, ovvero la dichiarazione compiuta, dove – per chi non vuole essere in malafede – risulta evidente che Mangano è stato un eroe, non perché mafioso, ma perché non si è piegato al teorema dell’accusa, rinunciando benché gravemente malato, ai benefici promessigli.

A sostegno di questo teorema viene usato ogni appiglio, da Ciancimino a Spatuzza, all’intervista a Paolo Borsellino. Intervista che ha suscitato mille polemiche, rilasciata ai due giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean-Pierre Moscardo di Canal Plus, successivamente pubblicata parzialmente da Panorama nel 1992, ripresa da RaiNews24 e recentemente ripubblicata da Il Fatto Quotidiano. Spacciata per autentica ed integrale, mentre è stato dimostrato anche da Enrix – Il Segugio che l’intervista è stata ampiamente manipolata.

Innumerevoli le puntate di Annozero dirette in questa direzione, dando lettura di fatti distinti e distanti tra loro, tesi a sollevare l’inquietante dubbio (che in molta parte dell’opinione pubblica diviene, così e invece, granitica certezza), che dietro le stragi di mafia di Falcone e Borsellino e quelle del ’93 ci sia stata la mano di Dell’Utri e quindi di Berlusconi, con l’obbiettivo di favorire la nascente Forza Italia.

Il sistema giudiziario è stato usato con teoremi simili e con medesime finalità politiche molte altre volte, dove il caso Andreotti risulta soltanto quello più famoso.

Nel 1989 presso l’Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa, così si espresse Paolo Borsellino: “Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo (in senso figurato, non riferendosi a nessuno in particolare, nda) è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”.

E’ una affermazione che va letta in due distinte modalità. La prima – la più ovvia, ma spesso disattesa – riguarda la necessaria prudenza nel scegliere i candidati, i politici e tutti quelli che si occupano della cosa pubblica. I quali dovrebbero essere, quanto più possibile, di specchiata moralità e trasparenza. La seconda nasce dalla riflessione che dal 1989 ad oggi molte cose sono cambiate e che queste parole, oggi, non posso più essere valide. Non dopo l’uso distorto, mediatico e politico di certe indagini e processi e dall’uso spesso inquietante del 416-bis (concorso esterno in associazione mafiosa).
Reato per il quale potrebbe tranquillamente venire indagata mezza Italia e per primi, proprio due personaggi convinti della mafiosità di Berlusconi: Travaglio e Ingroia a causa delle loro sfortunate (?) frequentazioni.

Proprio oggi, ora più che mai, è necessario invece attendere il terzo grado di giudizio per fare chiarezza su quanto accadde e sta accadendo in Italia, per tentare, per quanto possibile, di distinguere quanto di vero ci sia nelle accuse, separandole dalle opportunità e convenienze politiche.

Non è un caso che anche il Presidente Napolitano richiami l’attenzione sulla necessità di una riforma della giustizia, ma deve fare attenzione: parole di questo tipo potrebbero scatenare reazioni scomposte proprio da parte di quelle frange della magistratura più politicizzata che non accettano nemmeno l’ipotesi di un necessario riequilibrio dei poteri. E se ci ritrovassimo pure con il Presidente della Repubblica indagato, ciò aprirebbe una nuova stagione di veleni, più di quanto già ora non sia, con degli esiti pericolosi ed imprevedibili.
Ipotesi meno peregrina di quanto si possa immaginare, visto il contenuto dell’emendamento del PD, a firma Stefano Ceccanti, presentato per il Lodo Alfano e teso ad estendere una super-protezione anche alla maggiore carica istituzionale.

Pubblicato su Freedom24
7 luglio 2010

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