Fino a pochi giorni fa il PDL era chiaramente orientato verso le elezioni anticipate. Dopo la dichiarazione di Bossi, disponibile a sfiduciare il Governo pur di andare al voto, la posizione di Berlusconi è cambiata, richiamandosi «al dovere di governare» e «al senso della responsabilità». Il premier ha sminuito la portata dell’uscita leghista affermando sia «una delle sue solite tirate, per dare un segnale di forza al suo popolo e mobilitarlo».
Gli sherpa continuano febbrilmente il loro andirivieni, le lusinghe verso i deputati degli schieramenti avversi non si fermano, la mediazione per far digerire Casini a Bossi rimbalza sui quotidiani, ma tutto questo sarebbe solo la cortina fumogena.
Voci ben informate sussurrano la Lega non scherzi, non solo, ma che Berlusconi sarebbe pure d’accordo. Un patto di autoaffondamento, dove la Lega si accollerebbe l’onere di rimanere con il cerino in mano. Forte di numeri lusinghieri accreditati da tutti i sondaggisti, probabilmente non soffrirebbe molto l’essere indicata come la forza responsabile della caduta del Governo. La sua base elettorale non solo non la penalizzerebbe, ma non attende altro. Nell’area leghista è ben chiaro chi ha minato la governabilità: l’odiato Fini. A ben vedere neanche il PDL avrebbe nulla da guadagnare a continuare a tenere in piedi un Governo che dovrebbe negoziare ogni decisione con i fuoriusciti. Ma è in una situazione più delicata, obiettivamente più debole della Lega, proprio per il logoramento sfiancante di Fini. Essere, per il PDL, la forza che provocherebbe le elezioni potrebbe danneggiarlo alle urne molto più che la Lega, favorendo contemporaneamente Fini.
Riuscire a portare adesso al voto il Paese sarebbe, per l’asse Lega-PDL, un grande vantaggio. Fini dovrebbe appena mettersi in pista con un partito, il PD sembra ancora in letargo, con le primarie ancora da fare e non è dato a sapere a che punto siano gli accordi per la costituzione di una forza di centro. Sull’altro piatto della bilancia aleggia però il rischio di un governo tecnico con l’obiettivo di riformare la legge elettorale. Forse l’accordo esiste già, un asse Fini-Bersani, certamente con il soccorso di Casini e altri.
La posta in gioco è altissima e comunque Napolitano dovrà dire la sua, ma lo dovrà fare anche la personalità scelta dal Presidente della Repubblica per un eventuale mandato esplorativo, che nella crisi del governo Prodi fu Franco Marini, Presidente del Senato. Incarico oggi ricoperto da Renato Schifani, fedelissimo di Berlusconi.
9 settembre 2010